Come sopravvivere all’università

Il rapporto tra studenti e prof universitari, nel nuovo millennio

L’università è il luogo che presenta meglio il proverbio: “Gli esami non finiscono mai”, non solo da parte degli studenti, ma anche da quella degli esaminatori, che spesso interagiscono con studenti che si presentano con delle proprie “evoluzioni” del parlato e dello scritto italiano, e non solo. Un esempio lo è la storia raccontata di seguito: Esame di storia: lo studente si dilunga sul generale garibaldino Nino Biperio. Il professore sobbalza: “Scusi, ma chi è?”. Il  candidato esita un istante e mostra gli appunti che un compagno di corso gli ha passato. C’è scritto Bixio ma la “x”, nel linguaggio della generazione cresciuta a sms, si legge “per”. Da qui l’inesistente generale Bi-per-io.

Molti di questi episodi, sono stati raccolti nel libro “Salve, prof. Esercizi di sopravvivenza all’università”, scritto da Alessandra Farneti alla quale abbiamo rivolto alcune domande:

Benvenuta su CulturSocialArt. Episodi come quello che abbiamo citato in apertura di intervista, le sono mai capitati personalmente?

Certo che mi sono capitati: tante volte!

Nel testo ho riportato solo alcuni degli episodi più divertenti, ma credo che, come me, tutti i colleghi potrebbero raccontarne moltissimi. Uno dei più carini è certamente quello relativo alla spiegazione dell’imprinting. Avevo chiesto ad una studentessa di parlarmi di Lorenz e delle sue scoperte sull’imprinting e la ragazza aveva raccontato la storia dell’oca Martina. Le chiesi, quindi, come mai l’oca Martina seguiva Lorenz e la ragazza mi rispose: “Perché Lorenz assomigliava molto ad un’oca!”

Alcuni di questi episodi sono stati riportati in un articolo di Repubblica del 2005, a firma di Ilaria Venturi.

Sembra che il linguaggio usato nel rapporto tra studenti e professori, sia cambiato profondamente già prima del distanziamento sociale, a cosa si deve questo mutamento del rapporto?

Se, con linguaggio usato nel rapporto, si intendono tutte quelle forme di cortesia a cui noi vecchi siamo abituati, allora possiamo dire che sono molti anni che non esistono più e che il distanziamento sociale non centra niente.

Le mail che cominciano con Salve prof! e finiscono senza firma; le intrusioni nello studio senza bussare, talvolta l’uso improprio del tu; la mancanza totale di gesti di cortesia (come per esempio usare gli spintoni coi docenti per farsi largo); il mangiare e bere in aula; sono comportamenti abituali ormai da tanto tempo.

Si comincia nella scuola dell’infanzia e primaria, dove si dà del tu alle maestre, per arrivare persino a morderle o a picchiarle, e si continua un percorso di mala-educazione (per dirla con Almodovar), fino all’età adulta.

A cosa sia dovuto, non so: posso solo fare delle ipotesi.

Probabilmente molti genitori pensano che la formalità vada abolita, che una maestra a cui si dà del tu sia più vicina emotivamente, che sia inutile (e forse dannoso) insegnare a dare il posto a sedere in autobus ad un anziano, che nel mondo di oggi sia meglio fare a gomitate piuttosto che usare la gentilezza.

Se ai bambini non si insegna un minimo di rispetto delle forme, non possiamo sperare che da adulti le usino.

Non sono solo gli studenti ad essere maleducati. A me capita spesso che, entrando in un negozio, una commessa ragazzina mi si rivolga con un “Cosa ti do?” e continui poi a darmi del tu, nonostante io le dia provocatoriamente del lei! Forse sono solo cambiati i tempi ed è inutile dire “Una volta”…senza rischiare di essere patetici.

Del resto, se la tv è maestra, non esiste un conduttore che dia del lei o che lo pretenda da un candidato che partecipa a qualche gioco. Anche in questo caso l’inglese la fa da padrone, ma si tratta di un inglese imperfetto, perché, nonostante il tu generalizzato, gli inglesi usano forme di cortesia quando si rivolgono a persone di riguardo.

Il lockdown poi ha accentuato queste trasformazioni, spesso appoggiate dai genitori, quanta influenza hanno proprio questi ultimi sui mutamenti dei rapporti interpersonali?

Ho già detto sopra che non sono in grado di dire quanto questi cambiamenti siano dovuti ai genitori e quanto all’influenza dei media.

Il lockdown ha solo obbligato genitori, insegnati e studenti ad usare molto di più i computer e la comunicazione a distanza. Non credo però che abbia avuto alcuna influenza sui cambiamenti di regole nel rapporto.

Penso che le nuove tecnologie abbiano prodotto un cambiamento radicale sia nella comunicazione fra i più vecchi e i più giovani, sia nel modo di intendere lo studio e la cultura.

Ci troviamo davanti ad un linguaggio nuovo, fatto di sigle e povero di vocaboli, spesso mutuati dall’inglese. Ho citato nel libro il fatto che nessuno dei miei studenti aveva mai sentito la parola serraglio ma credo che non sia che una delle tante andate in disuso. Oltre al linguaggio sono cambiati i tempi e i ritmi della comunicazione. I giovani sono sempre in rete, sempre in rapporto con amici e conoscenti, potremmo dire “in diretta”, senza interruzioni.

Non è un caso che oggi sia difficilissimo trovare la carta da lettere, se non in negozi specializzati. L’anno scorso ero in Sardegna e volevo della carta da lettere: per quanto abbia chiesto, nessuno sapeva di cosa stessi parlando. Mi offrivano dei fogli A4, ma non sapevano che esistono delle confezioni da dieci fogli e dieci buste, magari anche decorati.

Questo, secondo me, la dice lunga sul modo di comunicare e sui mutamenti del mondo delle relazioni. In fondo, a cosa serve scrivere una lettera se posso mandare un messaggino? Se posso mandare persino le foto di quello che sto cucinando a tutti gli amici di facebook?

Probabilmente i giovani sono più adattati di noi e a noi sembrano extraterrestri perché non siamo capaci di adeguarci. E’ anche vero, però, che questa immediatezza e questa velocità nella comunicazione impedisce di riflettere a fondo, in qualche modo chiede un pensiero accelerato che non ammette tempi morti.

In più c’è questo rumore continuo, e con rumore non intendo solo la musica che si ascolta dalle cuffiette mentre si cammina o si va in autobus o in treno, o quello delle città, ma anche il “rumore”, nel senso di disturbo, del flusso continuo di parole e di immagini che ci giungono.

Tutto quello che ho detto fino ad ora, tuttavia, non significa che giovani e vecchi non possano trovare il modo di comunicare.

Io, in quanto psicologa, ho sempre avuto un buonissimo rapporto con i miei studenti, tanto che, essendo considerata alla stregua di una nonna, ricevevo spesso le loro confidenze sui loro amori infelici o su altri problemi.

Quello che è cambiato riguarda soprattutto la trasmissione del sapere e della cultura.

I libri non servono più, nemmeno per preparare gli esami. Si fotografano col cellulare le slide (e qualcuno più zelante registra anche le lezioni) e ci si prepara su quelle.

Nel testo ho riportato il caso di una studentessa, prossima alla laurea, che mi ha candidamente confessato di non avere mai letto un libro e che ha anche avuto il coraggio di mandarmi in seguito una mail in cui mi diceva che aveva seguito il mio consiglio e aveva dato un esame dopo aver letto il libro. Concludeva affermando: “Sa che mi è servito (ma forse era logico)!”

Oltre al rapporto tra studenti e professori, vi è anche un cambiamento di rapporto tra studente e studio. Lo studio, la cultura sembra non avere la stessa importanza che godeva negli anni passati, anzi…. Come si vive dall’altra parte, questa poca attenzione culturale?

Quanto al rapporto con lo studio, l’ho già detto sopra; sulla reazione dei docenti, potrei dire che si oscilla tra lo stupore, la rabbia e il senso di inadeguatezza.

La cultura sta prendendo strade nuove, talvolta molto interessanti, talvolta disastrose. Penso a quante possibilità offra internet se si è in grado di discriminare fra sciocchezze e cose serie, penso a quanti libri possiamo portarci dietro con un lettore, penso a quanti convegni e conferenze possiamo seguire; ma penso anche ai programmi demenziali per bambini, in cui le pubblicità incalzano e fanno sì che le case si riempiano di oggetti inutili, penso ai danni che possono fare i social e alla cattiveria imperante.

Per noi vecchi è difficile accettare che uno studente non abbia mai sentito nominare Chaplin o Fellini, che non sappia chi era Verdi o che è esistita la rivoluzione russa. Ma, ripeto, dobbiamo cercare di comprendere i rapidi cambiamenti del mondo e cercare di adeguarci, insegnando ad utilizzare al meglio gli strumenti che offre la rete.

Penso che oggi la cose più importanti da insegnare siano la capacità critica, la consapevolezza della propria ignoranza, la curiosità, la flessibilità del pensiero, la motivazione intrinseca alla conoscenza.

Mi viene in mente una canzone di Vecchioni, Chiamalo sempre amore, dove si dice:

….

E per tutti i ragazzi e le ragazze

Che difendono un libro,

un libro vero

Così belli a gridare nelle piazze

Perché stanno uccidendo il pensiero

Perché se questo mondo sta uccidendo il pensiero, ci sono ancora dei giovani che non si lasciano schiacciare e, nella mia lunga presenza all’università ne ho incontrati molti.

Non possiamo non citare anche il mondo della scuola, quello dei professori, tra concorsi, consigli di facoltà, le modalità di insegnamento. Diciamo che ce n’è per tutti. Come lo vive, tutto questo, un professore?

Nel testo ho parlato di concorsi, di valutazioni, di rapporti interpersonali. Anche in questo caso, tutto è cambiato e non si può dire che sia sempre in meglio.

Gli accordi per i posti da assegnare, i contratti far baroni per sistemare i propri allievi forse in passato erano ancora più smaccati di oggi. Ho usato volutamente il termine “smaccati” perché allora nessuno si faceva dei problemi sui giochi di potere: erano un dato riconosciuto quasi come un diritto.

Oggi si cerca di mascherare questi giochi, introducendo punteggi rigorosi, la meritocrazia, i vari impact-factor ecc…ma spesso i giochi si fanno ugualmente ed è difficile contrastarli.

Ci sono molti modi di valorizzare o sminuire i lavori presentati ai concorsi o di guidare i colloqui dove è meglio per un candidato ecc…Non credo che ci saranno mai concorsi in cui i commissari possano leggere tutto quello che ha scritto un candidato, né che esista una vera oggettività.

Negli anni ha prevalso la valutazione quantitativa e io dico spesso che Einstein avrebbe avuto ben poche possibilità di ottenere un posto nell’odierna università perché non aveva scritto che poche pagine. Poco importa che fossero la teoria della relatività!

Se poi vogliamo parlare dei rapporti interpersonali, mi sembra molto calzante la metafora usata da Fedel per definire il mondo di oggi, dove per andare avanti bisogna affrontare il mare aperto e gli squali.

Nella mia lunga carriera ho incontrato tanti diversi colleghi, ho trovato amici preziosi, con cui ho lavorato senza che mai ci pestassimo i piedi, unendo le nostre forze. Ho incontrato però anche molti casi patologici, come dice Attena nel suo libro Psicopatologia della carriera universitaria, molti squali, dove il narcisismo era dominante e induceva a schiacciare e a divorare gli altri.

Penso sia così un po’ in tutti gli ambienti di lavoro, ma all’università si vorrebbe che fosse l’amore per la ricerca e per gli studenti a guidare i docenti, non l’ambizione e la vanagloria. E’ una tentazione per tutti noi docenti ma è importante riuscire a fare un continuo esame di coscienza per non cadere nelle trappole dell’egocentrismo.

Quando si fa lezione, per esempio, è importante capire se gli altri capiscono, se li stiamo annoiando o interessando, non parlar per se stessi e per dimostrare quanto siamo colti.

Ho scritto un paragrafo su una parola importante, usata spesso in modo improprio: l’amore.

Amore come prendersi cura, amore come decentramento, amore come interesse per il bene dell’altro e il bene comune, non amore per le/i belle/bei e giovani colleghe/colleghi, o per i propri allievi/e o per se stessi, come la strega di Biancaneve.

Un’altra parola che ritengo fondamentale nei rapporti è la bene-dicenza, contrapposta alla mal-dicenza. Se si impara a dire solo cose buone degli altri e non si cerca di ferire con le chiacchiere, l’ambiente ne trae enormi vantaggi.

Non finirò mai di far pubblicità al bellissimo libro di Sutton Il metodo antistronzi, dove si dimostra come si possa danneggiare in modo grave un’istituzione con il proprio comportamento.

Ha un pensiero da dedicare al mondo universitario, in particolar modo a professori e alunni?

Sarebbero molte le cose da dire ma mi limiterò a quello che mi sembra più importante: dobbiamo trovare la voglia di rimetterci in discussione ogni giorno, confrontandoci con i cambiamenti del mondo, rispettando noi stessi e gli altri, riconoscendo i nostri errori con umiltà, chiedendo scusa.  

Grazie per essere stata con noi e buon lavoro!

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Sissi Corrado

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